Qualche settimana fa sono stata contattata dall’Anpi di Quarona. Mi è stato chiesto di tenere la commemorazione ufficiale per ricordare uno dei più tristi e cupi episodi della Resistenza Valsesiana, l’eccidio al Ponte della Pietà di Quarona (VC) del 14 agosto 1944. Una grande emozione e allo stesso tempo una grande responsabilità: quale significato può avere, oggi, a 70 anni di distanza, il ricordo di ragazzi uccisi sotto un ponte di un piccolo paese di provincia?
Questa la mia riflessione.
Buonasera a tutti,
vorrei iniziare questo mio breve intervento innanzitutto salutando e ringraziando le persone presenti qui oggi. Credo che questo non sia un gesto “scontato” perché penso che la vostra presenza qui oggi non sia per nulla scontata.
Voglio ringraziare innanzitutto l’ANPI di Quarona, non solo per avermi invitata oggi, ma anche e soprattutto per l’importante compito che l’ANPI porta avanti nonostante le numerose difficoltà, quello di salvaguardare e promuovere i valori della Resistenza.
Voglio anche ringraziare le istituzioni qui presenti. La vostra presenza è fondamentale in occasioni come questa. Il fatto che voi siate qui oggi, significa che lo Stato riconosce nel sacrificio di ragazzi morti 70 anni fa un significato profondo. Quel sacrificio è l’origine di quella Libertà di cui oggi godiamo.
Infine, ma assolutamente non meno importante, voglio ringraziare tutti voi, presenti qui oggi. A mio avviso la partecipazione alle commemorazioni è importante come la partecipazione agli altri momenti della vita cittadina, perché è dalla partecipazione civica che nasce la Cittadinanza attiva.
La riflessione che vorrei fare qui oggi parte da una definizione importante, quella di Luogo di Memoria, teorizzata da Pierre Nora, un noto storico francese e uno dei primi studiosi ad aver parlato di questo concetto. Dice Nora “un luogo della memoria è una unità significativa, d’ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavorio del tempo ha reso un elemento simbolico di una qualche comunità […] Il luogo della memoria ha come scopo fornire al visitatore, al passante, il quadro autentico e concreto di un fatto storico. Rende visibile ciò che non lo è: la storia […] e unisce in un unico campo due discipline: la storia appunto e la geografia”. Da questa definizione emergono le due caratteristiche principali che rendono tale un luogo di memoria.
Innanzitutto un luogo di memoria è un luogo geografico, uno spazio fisico, testimone involontario di un avvenimento storico rilevante. Nella sua fisicità un luogo di memoria “rende visibile ciò che non lo è”. Trasmette, grazie alle tracce lasciate dallo scorrere del tempo, la testimonianza di un avvenimento fondamentale per la storia di una comunità. Noi oggi ci troviamo qui, al Ponte della Pietà di Quarona che esattamente 70 anni fa è stato teatro di una tragedia umana privata e pubblica. Alle ore 16.25 del 14 agosto 1944 venivano giustiziati, mediante impiccagione, cinque giovani ragazzi, “colpevoli” di essersi opposti ad un progetto di terrore sociale e politico voluto dal fascismo e dal suo alleato nazista.
Gino Boccardo, operaio, 18 anni; Aldo Bordiga, operaio, 30 anni; Gino Francese, operaio, 18 anni; Vincenzo Lazzi, soldato, 23 anni; Augusto Pescio, fornaio, 32 anni.
Questi i nomi dei cinque ragazzi che quel pomeriggio di 70 anni fa sono stati brutalmente uccisi da spietati e disumani carnefici. E questo ponte, sotto il quale ci troviamo oggi per ricordarli e celebrare il loro sacrifico, è il primo testimone di questo drammatico avvenimento: privato, perché ha portato un dolore indescrivibile all’interno di cinque famiglie, ma anche e soprattutto pubblico perché ha sconvolto l’intera comunità quaronese e valsesiana. Il Ponte della Pietà è senza alcun dubbio un Luogo di Memoria, così come lo definisce Nora.
La seconda caratteristica che emerge dalla definizione dello studioso francese è, appunto, quella di COMUNITA’. Un luogo di memoria è tale se intorno ad esso, e alla storia che testimonia, una comunità si riconosce perché fa di quel determinato avvenimento un episodio fondamentale della sua storia e quindi della sua identità. Attorno al ricordo di un evento storico una comunità può identificarsi perché non solo riconosce di avere un passato comune, ma anche e soprattutto riconosce di avere valori condivisi. Ecco perché, secondo me, le cerimonie commemorativa nei Luoghi di Memoria sono fondamentali, soprattutto quelle legate alla Resistenza.
In questi giorni riflettevo su quale significato hanno queste cerimonie che, anno dopo anno, vengono organizzate. Oltre al 25 aprile ci sono numerose giornate celebrate in tutto il nostro territorio in ricordo di eccidi commessi diversi anni fa. Nella sua tragicità questo è un dato da tenere sempre presente: è indice del ruolo fondamentale che ha avuto la Valsesia nel processo di Liberazione e per il quale ha ricevuto anche la medaglia d’oro al valor militare.
Mi sono dunque interrogata sul significato di queste ricorrenze e vorrei condividere con voi il mio pensiero. Le cerimonie commemorative, a mio avviso, sviluppano tre tipi di coscienza, intesa letteralmente come la consapevolezza che un soggetto ha di sé e del mondo esterno con cui è in relazione. Intanto una cerimonia commemorativa, come quella di oggi, sviluppa la coscienza personale/individuale. Pensando ai cinque ragazzi del Ponte della Pietà penso alle mie origini, al mio passato, alle persone che devo ringraziare per quei diritti che oggi posso liberamente esercitare. Insomma, prendo consapevolezza della mia singola esistenza come cittadino dotato di diritti e doveri.
In secondo luogo ricordare gli avvenimenti del 14 agosto del 1944 mi permette di rafforzare la mia coscienza civica. Riflettere sul prezzo che hanno pagato Gino, Aldo, Vincenzo, Gino ed Augusto per la libertà di cui oggi posso godere, deve spingermi ad impegnarmi nella mia comunità, nel mio territorio. Non sono, quindi, solo consapevole dei diritti e dei doveri che ho in quanto cittadino, ma sono spronata a esercitarli tutti i giorni nella mia comunità, vivendo in questo modo la mia cittadinanza consapevolmente.
Infine, riflettere sul passato mi porta a immaginare quale futuro voglio per il mio Paese, la mia amata Italia. Prendendo a modello questi giovani di 70 anni fa sviluppo, quindi, una mia coscienza politica che mi spinge a mettere in pratica quei principi, a partire dalla quotidianità delle piccole cose.
Ecco il profondo significato che ha continuare ad organizzare queste commemorazioni e partecipare a questi momenti. In particolare ricordare oggi il sacrificio dei cinque giovani del Ponte della Pietà significa innanzitutto prendere a modello questi cinque ragazzi nella nostra vita quotidiana. Gino, Aldo, Vincenzo, Gino ed Augusto ci hanno lasciato in eredità quella libertà che oggi possiamo esercitare perché sancita dalla nostra bellissima Costituzione. Essi erano sicuramente spinti da una visione del mondo lungimirante e costruttiva. E per questa visione del mondo hanno dato la loro vita. Non solo, quindi, dobbiamo celebrarli e ricordare il loro sacrificio, ma dobbiamo soprattutto vigilare su questa libertà, costruita su queste azioni. E vigilare sulla libertà significa dare il proprio contributo alla vita politica, intesa come vita della polis, della città, della comunità. Disinteressarsi della politica significa disinteressarsi della propria esistenza perché come essere umani possiamo esistere solo ed esclusivamente all’interno di una comunità.
Ritornando alla commemorazione, vorrei proporvi un’ultima riflessione. L’eccidio del 14 agosto 1944 non è stato solo uno dei tanti eccidi che ha colpito il nostro territorio durante il periodo della Resistenza, ma è stato senza dubbio uno dei più spietati perché caratterizzato dall’assenza di PIETA’, di pietas, quel sentimento umano che dovrebbe spingere ogni individuo a rispettare il prossimo in quanto suo simile. Questa riflessione è secondo me attualissima oggi. Pensando a quanto sta accadendo in altre parti del mondo, da Gaza ad altri innumerevoli conflitti in diverse parti del mondo, emerge chiaramente qual è l’elemento che accomuna la storia di Quarona di 70 anni fa a quella che stanno vivendo oggi moltissime persone: l’assenza di Pietà. Come disse in una sua testimonianza padre Marco Malagola, uno degli ultimi testimoni di quella spietata esecuzione, “è mancata la Pietà al Ponte della Pietà” e questa mancanza di pietà continua purtroppo ad essere ancora presente oggi in molti scenari di guerra del mondo. Le parole di padre Marco mi hanno ricordato una poesia, studiata qualche anno fa sui banchi di scuola e tornata alla mente in questi giorni. La poesia è “Giorno dopo giorno” di Salvatore Quasimodo pubblicata nel 1947 nella raccolta omonima. Scrive Quasimodo:
“Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l’oro. Vi riconosco, miei simili, o mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà,
e la croce gentile ci ha lasciati.
E più non posso tornare nel mio eliso.
Innalzeremo tombe in riva al mare, sui campi dilaniati
ma non uno dei sarcofaghi che segnano gli eroi.
Con noi la morte ha più volte giocato;
s’udiva nell’aria un battere monotono di foglie,
come nella brughiera se al vento di scirocco
la folaga palustre sale sulla nube.”Questa poesia simboleggia, per me, il valore che deve avere una commemorazione come quella di oggi: ricordare il passato per riflettere sul presente e agire per il futuro.
Purtroppo nelle condizioni attuali i rischi di perdere queste occasioni sono molteplici. C’è innanzitutto il rischio che queste cerimonie si trasformino in eventi nostalgici e privi di riflessione, se non vengono organizzati con la giusta consapevolezza. C’è poi un altro e forse ancora più grave rischio: quello della mancanza di partecipazione, a cominciare dalle istituzioni. Ho iniziato questo mio breve intervento dicendo che non è per nulla scontata la presenza delle istituzioni oggi e che, anzi, è un elemento fondamentale per la riuscita in termini di riflessione di una cerimonia come questa. Per cui ringrazio ancora le istituzioni presenti. D’altro canto la mancanza di partecipazione popolare è sintomo di un disinteresse dei cittadini non solo della propria storia, ma purtroppo del proprio futuro. Ecco perché bisogna convincere e invitare insistentemente tutti i cittadini a partecipare alle cerimonie di ricordo.
In questo modo potremo anche rispettare quel testamento morale lasciatoci in eredità dai nostri partigiani, ben racchiuso in queste povere ma dense parole scritte, poco prima della sua esecuzione a Parma il 4 maggio 1944, da un giovane studente di 18 anni, Giordano Cavestro, nome di battaglia Mirko: “Cari compagni, ora tocca a noi. Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà. Giordano.”
Queste parole manifestano anche il valore del sacrificio compiuto dai nostri morti del Ponte della Pietà e potrebbero essere state scritte da uno di loro.
Dopo questa lettera credo che ogni altra parola risulti superflua. Vorrei concludere questi miei semplici pensieri solamente con un augurio. Spero che un giorno i miei figli, i nostri figli, passando sotto questo ponte, possano raccontare ai propri di figli la storia di Gino, Aldo, Vincenzo, Gino ed Augusto, del sacrificio per la nostra e anche loro Libertà, cento e più anni dopo quella triste sera.