Tutti al mare…o forse no!

Breve recensione di una storica sul nuovo documentario “Vacanze al mare” di Ermanno Cavazzoni

Vacanze_al_mare

Locandina del documentario “Vacanze al mare”

La mia prima impressione sul nuovo documentario di Cavazzoni non è stata molto positiva. Sono uscita dalla sala del Cinema Lumière di Bologna con un grande interrogativo in testa: quale messaggio voleva trasmettere il regista attraverso questa analisi antropologica sulle vacanze al mare degli italiani?
Questa volontà di esplorare con un taglio semi-scientifico, quasi da moderno etologo, il
comportamento dell’italiano medio (l’Homo litoralis, come dice lo stesso Cavazzoni) sulle spiagge della penisola mi era apparsa inizialmente insignificante e in parte forzata. Oltretutto il mio tentativo di analizzarlo come documentario storico rischiava di essere fuorviante.
Il documentario di Cavazzoni non può essere definito un documentario storico in senso stretto. Innanzitutto per un uso limitato della tipologia di fonti. Tutto il documentario è costruito attraverso l’accostamento e il montaggio di “filmati di famiglia su pellicola o girati da cineamatori tra il 1920 e il 1980” (scritta che appare all’inizio del film) provenienti dall’archivio Home Movies di Bologna. La ricerca archivistica preliminare deve essere stata intensa e complessa. Guardare e selezionare migliaia di filmati famigliari non è stata sicuramente un’operazione semplice.
Lo stesso lavoro di accostamento e montaggio delle scene selezionate è risultato efficace, soprattutto se lo confrontiamo con l’espediente narrativo utilizzato. Tutto il documentario, infatti, è costruito come se un etologo o un antropologo sociale ricostruisse i comportamenti di una razza animale durante un periodo di migrazione (l’essere umano durante le “vacanze al mare”). La voce narrante fuori campo che accompagna il susseguirsi delle immagini tragicomiche delle ferie d’agosto è uno strumento di narrazione non propriamente nuovo. Pensiamo a tutti i documentari naturalistici che scandiscono la programmazione di noti canali televisivi. L’utilizzo, però, dello stile “documentario naturalista” associato ad un’analisi comica del comportamento umano si è rivelato funzionale e adeguato al tema.
Dicevo, uso limitato della tipologia di fonti. Questo perché nel documentario vengono usati solo i filmati di famiglia, senza una critica o una contestualizzazione storica della stessa fonte. Inoltre Cavazzoni non spiega come mai ad un certo punto gli italiani iniziano a “migrare” verso le coste della penisola per torturarsi al sole e affollarsi nell’acqua bollente. Solo un breve cenno, all’inizio del documentario, sulla conquista delle ferie da parte dei lavoratori a metà Novecento, ma nient’altro. Non ricostruisce un processo storico, ma si limita ad esaminare un dato di fatto.
Difficile quindi definire “Vacanze al mare” un documentario storico. Questo è il motivo per cui all’inizio l’ho criticato abbastanza duramente. Inoltre non mi sembrava che il lavoro di Cavazzoni potesse essere utilizzato come fonte storica per ricostruire il fenomeno del turismo di massa della seconda metà del XX secolo. Si possono utilizzare le immagini, ma la voce narrante fuori campo è fuorviante. Probabilmente può darci molto più informazioni sulla società attuale rispetto a quella che prende in esame. Se lo si considera da questo punto di vista, emerge una società critica nei confronti di quella che l’ha preceduta, critica soprattutto nei confronti di un atteggiamento sessuale in parte oggi superato.
Sono state queste perplessità e dubbi che mi hanno spinto a rivedere il documentario e ad analizzarlo da un’altra angolazione.
Il film di Cavazzoni può essere considerato come un ottimo e valido prodotto “metastorico”. Permette, infatti, di riflettere non tanto sul fenomeno del turismo di massa o sui comportamenti sessuali dell’uomo, bensì sul ruolo che la storia e lo storico rivestono ai giorni nostri.
Il primo spunto interessante emerge dall’analisi della tipologia di fonte utilizzata. “Vacanze al mare” è il primo lavoro culturale che utilizza il filmato di famiglia come documento di ricerca. Questo dovrebbe spingere gli storici ad interrogarsi su ciò che può essere considerato “fonte storica”, sulle innumerevoli tipologie documentarie che non hanno ancora acquisito tale riconoscimento e sulla ricchezza informativa che nuovi documenti possono trasmettere.
Il secondo elemento che si ricava da questa nuova prospettiva di analisi è il linguaggio. Gli storici sono abituati a scrivere con un linguaggio accademico, ricercato e autoreferenziale. La voce narrante fuori campo, comica e tragica allo stesso tempo, usata nel documentario sottolinea l’esistenza di un registro linguistico alternativo. Il linguaggio storico non deve essere necessariamente complesso ed elitario, ma può adottare tecniche narrative e strumenti linguistici accattivanti e divulgativi.
L’ultima riflessione riguarda il ruolo dello storico nella società contemporanea. Lo storico è un ricercatore, uno “scienziato dell’evoluzione umana” (March Bloch) che, a differenza di altri scienziati, si trova quotidianamente ad analizzare le azioni umane e le conseguenze che da queste derivano. Ogni azione umana genera però negli altri uomini un giudizio morale. Anche gli storici, in quanto Uomini, appartenenti cioè alla “razza umana”, sono dunque inclini a giudicare le azioni dei propri simili. E’ vero, lo storico deve ambire all’oggettività, ma non potrà mai raggiungerla completamente. La stessa voce narrante dell’etologo, il vero e unico protagonista del film, inizia la sua analisi con un tono assolutamente oggettivo e scientifico. Questa volontà razionale di ricerca rigorosa ed empirica presente nella prima parte del documentario si trasforma però in una conclusione malinconica e nostalgica.
Questo è il messaggio celato di “Vacanze al mare”. Lo storico deve ambire all’oggettività e alla verità senza dimenticarsi della sua dimensione umana che emerge necessariamente nei suoi lavori. Le ricerche storiche infatti saranno sempre il risultato di un punto di vista soggettivo dato che alla base di esse vi è una precisa scelta da parte dello storico di trattare quel tema specifico secondo una predeterminata prospettiva.
Lo storico deve quindi fare i conti con la propria soggettività: questa è la sua più grande responsabilità.

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