Non ho mai letto nulla di Irène Némirovsky, scrittrice francese ebrea originaria di Kiev, deportata ad Auschwitz nel luglio 1942 dove morì poche settimane dopo. Non avevo neanche mai sentito parlare di Suite Francese, l’ultima opera letteraria incompiuta della Némirovsky e pubblicata postuma solo nel 2004. Una storia che, secondo me, ha dell’incredibile se si pensa al momento in cui è stata scritta.
Nel giugno 1940 la Francia era stata occupata dalle truppe tedesche e alla fine del mese era stata divisa in due grossi blocchi: una zona militare di occupazione a nord del paese e un governo collaborazionista, noto con il nome di Repubblica di Vichy, nella parte meridionale. La Némirovsky inizia a lavorare alla sua opera in piena occupazione militare e, nonostante le difficoltà che, in quanto francese e per giunta ebrea, deve quotidianamente affrontare, si immagina una struggente storia d’amore tra una giovane francese appassionata di musica classica e un giovane ufficiale tedesco. La dolcezza con la quale viene ritratto il soldato nazista stupisce se si pensa all’autrice e al contesto storico nel quale stava vivendo. Colpisce la sua sensibilità nel ritrarre un uomo che rappresentava non solo il suo nemico, ma soprattutto quello che sarebbe stato, poco tempo dopo, il suo aguzzino. Stupisce la sua capacità nell’intravedere, dietro ad una divisa militare, l’umanità nascosta di un giovane tedesco, costretto a combattere per una causa non sua e per nulla convinto dei metodi adottati dai suoi superiori.
Suite francese è un ottimo film storico per due motivi principali. Innanzitutto perché racconta una storia ambientata in un momento ben preciso, quello dell’occupazione militare nazista in Francia. Le scene dei bombardamenti che aprono il racconto sono ben costruite e del tutto verosimili rispetto alla realtà dei fatti. Parigi e la campagna circostante vennero duramente bombardate nel giugno 1940. Le bombe tedesche colpirono soprattutto obiettivi civili quali fabbriche, stazioni, strade perché lo scopo era quello di indebolire il nemico e sconvolgere la vita della popolazione civile. Anche l’arrivo dei soldati nazisti nel tranquillo paese di Bussy e i disordini che questo provocò è ricostruito in modo fedele. Si trattò di una vera e propria occupazione militare che comportò requisizioni di beni e averi, delazioni e uccisioni. Diversi sono gli episodi che vengono ricordati nel film: dall’invasione delle abitazioni da parte delle truppe tedesche, all’uccisione del podestà come atto di rappresaglia, alle violenze contro le donne. Il film quindi restituisce un episodio storico ben preciso e ci aiuta ad approfondire un tema ancora oggi poco noto in Italia.
Oltre a questo, però, il film di Saul Dibb, regista britannico noto per un altro film di carattere storico (“La duchessa”, 2008), ci restituisce, in una nuova forma, una vera e propria testimonianza scritta. L’opera di Némirovsky, sebbene incompiuta e rimasta inedita per più di sessant’anni, ci restituisce uno spaccato di un’epoca e la visione del mondo di una donna che stava vivendo uno dei più tragici capitoli della storia del Novecento.
Per concludere Suite francese è, secondo me, il frutto di un’operazione di divulgazione storica che riesce a trasmettere anche ad un pubblico di non esperti non solo una bella storia d’amore ambientata più di settanta anni fa, ma anche e soprattutto una storia vera. Una Storia, con la esse maiuscola.